I filosofi irregolari sono:
• Kierkegaard (1813-1855)
• Schopenhauer (1788-1860)
• Nietzsche (1844-1900)
Costoro furono delle persone che non si sentirono in linea con il loro tempo, si sentivano anzi incompresi. Erano diversi tra loro, ma avevano in comune di non credere nel positivismo storicistico di Marx, Hegel e dei positivisti. Il positivismo storicistico è un'ideologia della storia che si crea quando si pretende che l'unica cosa che valga la pena fare sia una contestualizzazione storica, senza prendere in considerazione gli altri aspetti che caratterizzano un oggetto come un'opera d'arte ad esempio.
Costoro possono apparire dei profeti della crisi successiva.
Bisognerebbe aggiungere a questi nomi anche quello di Leopardi (1798-1837).
➢ Kierkegaard (1813-1855)
La vita
Starà sempre al centro del suo pensiero la riflessione sull'esistenza di quel misero che io sono (come egli stesso ha lasciato scritto nei suoi diari).
Egli nacque in Danimarca, a Copenhagen, il 5 Maggio 1813. educato dal padre nel clima di una severa
religiosità, si iscrisse alla facoltà di teologia di Copenhagen, presso la quale dominava l'ispirazione hegeliana.
Egli avrebbe dovuto intraprendere la carriera pastorale del padre, ma non la seguì. Anzi condusse una critica
durissima contro la chiesa protestante danese perché riteneva quello un cristianesimo borghesizzato, ridotto ad
una religio, ad una semplice spiritualità. Secondo Kierkegaard il cristianesimo iniziò con uno scandalo poiché
Dio si manifestò proprio quando il figlio venne condannato per aver bestemmiato, il luogo della rivelazione è la croce. Il filosofo condusse una dura polemica contro il suo vescovo e a questa seguì una dura reazione dell'ambiente che finì per deriderlo.
Inizialmente fu entusiasta del pensiero di Schelling, del quale seguì a Berlino le lezioni, ma poi ne venne deluso. Tornò così in patria e, vivendo della rendita del padre, si dedicò alla scrittura di opere.
La rottura del fidanzamento con Regina Olsen fu molto determinante per la sua vita. Egli stesso ruppe il fidanzamento, non perché non l'amasse, ma perché ritenne di non poter consistere in quel ruolo. Le parole simbolo della filosofia di Kierkegaard saranno appunto “esistere” e “consistere”, la prima con il significato “uscire da ciò che si è” e l'altra “non riuscire completamente a identificarsi in un ruolo”.
Tutti gli enti e gli animali consistono e coesistono con la loro essenza. L'esistenza non è altro che un'esplicazione dell'essenza. Gli esseri umani non hanno un'essenza da espletare dato che in ogni momento
possono contrapporvisi. L'elemento fondamentale della vita umana è la possibilità.
Egli non riuscì così a vivere il fidanzamento in maniera stabile, ma il motivo non verrà mai chiarito fino in
fondo.
Nel suo diario egli parla di una “scheggia nelle carni”. Questa frase ha avuto molte interpretazioni e i più
ritengono che non fosse qualcosa che riguardava lui, ma un qualcosa che fece traballare l'immagine che aveva
del padre, una colpa che si portò dietro dal padre stesso.
Si può dedurre già dalla sua vita che la sua riflessione si basa sull'individualità.
Le opere
– La tesi di laurea Sul concetto dell'ironia con particolare riguardo a Socrate;
– Enten-Eller (tradotto solitamente con Aut-Aut), l'opera principale;
– Timore e tremore, riferimento nel titolo alle parole di Paolo;
– Il concetto dell'angoscia;
– La malattia mortale;
– L'esercizio del cristianesimo;
– Il suo Diario.
Il pensiero
• L'esistenza e le sue caratteristiche
Che cos'è il reale?
Il reale è il singolo, non l'idea come Hegel pensava. Io sono un essere irripetibile, la mia umanità sta nella
singolarità (si individua già qui perché egli venne ritenuto il più radicale anti-hegeliano). Cercando di creare
una filosofia ideologica e spiritualista Hegel ha ridotto l'essere umano ad un animale perché ha fatto prevalere
sull'esistenza il genere, l'essenza. Nell'animale l'essenza precede l'esistenza, non c'è individualità. L'essere umano invece ha un'individualità e questa è l'unica realtà che sussiste.
Gli umani sono quegli esseri in cui l'esistenza precede l'essenza, al contrario di tutti gli altri esseri. Ogni essere umano si costituisce in base alle possibilità che gli si pongono di fronte e alle scelte che intraprende. L'essenza
quindi non è mai definitiva nell'essere umano, ma si può sempre ribaltare. C'è un'esistenza che ha davanti a sé
possibilità che propendono ad un'essenza, ma questa può cambiare. Man mano poi che la fine di un'esperienza si avvicina incorre lo stato d'animo di avvertire che quella è stata solo una delle tante probabili possibilità.
Dall'esistenza derivano possibilità di vite (come dice lo stesso Kierkegaard), di essere in un modo, ma nessuna
di esse è mai definitiva.
Da cosa si caratterizza la vita umana?
Ciascuno intraprende una scelta che gli pone davanti una vita, ma intorno a sé vede le altre vite che avrebbe potuto vivere, ma che non sono state vissute. Ci portiamo dietro quindi, oltre alla scelta che facciamo, anche le
altre che non facciamo e in base a quelle si giudica la vita che stiamo vivendo. In questa filosofia quindi il nulla è ed è identificato con le scelte negative che ci portiamo dietro.
L'uomo dunque è caratterizzato dal possibile, non dal necessario. Le possibilità però non sono solo quelle
positive, cioè quelle percorse, ma anche quelle negative, ovvero quelle non scelte, per questo ci si porta dietro
anche ciò che non ci caratterizza più, il negativo ci viene dietro.
Esiste per Kierkegaard un punto zero, un punto di indecisione permanente, un'equivalenza di possibilità, in cui
ci si sente paralizzati. Questo avviene in persone che hanno molto forte il senso della possibilità, che non sanno
coincidere perfettamente rispetto alla possibilità che scelgono, chi avverte l'essenza come sempre eccedente e
finisce per non prendere le scelte fondamentali.
Kierkegaard vuole contemplare questa condizione umana così definita, rifletterci sopra, il fine per lui non è la
prassi, ma la contemplazione affinché si comprenda, si valorizzi la spiritualità, si abbia una capacità di riflessione. Questa elaborazione filosofica lo porterà a ritenere che l'unica risposta alla disperazione che può
intervenire nella vita umana è il cristianesimo.
La condizione umana è associata a due sentimenti: angoscia e disperazione.
L'angoscia è il sentimento della possibilità, quando percepiamo la nostra vita in termini di possibilità. Tutto ciò genera angoscia, derivante da una permanente apertura al futuro in termini di possibilità, la possibilità non è quindi verso il passato, ma verso il futuro. La nostra ansia è angoscia esistenziale.
La disperazione è il sentimento del possibile riguardo a noi stessi. L'ammissione di non poter negare la nostra realtà possibilitante. Prendiamo il caso che faccia qualcosa che non mi aspetto, io non posso negare me stesso, ma neanche dire di essere completamente me stesso perché sento tutto ciò che potrei essere. Questo porta alla disperazione, che può essere malattia mortale, non potere né accettare né rifiutare se stessi.



